Interim, dum haec in Italia geruntur, Aristonicus, qui mortuo rege Attalo a quo Asia populo Romano hereditate relicta erat, sicut relicta postea est a Nicomede Bithynia mentitus regiae stirpis originem armis eam occupaverat, is victus a M. Perpenna ductusque in triumpho, sed a M. Aquilio, capite poenas dedit, cum initio belli Crassum Mucianum, virum iuris scientissimum, decedentem ex Asia proconsulem interemisset. At P. Scipio Africanus Aemilianus, qui Carthaginem deleverat, post tot acceptas circa Numantiam clades creatus iterum consul missusque in Hispaniam fortunae virtutique expertae in Africa respondit in Hispania, et intra annum ac tres menses, quam eo venerat, circumdatam operibus Numantiam excisamque aequavit solo. Nec quisquam ullius gentis hominum ante eum clariore urbium excidio nomen suum perpetuae commendavit memoriae: quippe excisa Carthagine ac Numantia ab alterius nos metu, alterius vindicavit contumeliis. Hic, eum interrogante tribuno Carbone, quid de Ti. Gracchi caede sentiret, respondit, si is occupandae rei publicae animum habuisset, iure caesum. Et cum omnis contio adclamasset, hostium. inquit, armatorum totiens clamore non territus, qui possum vestro moveri, quorum noverca est Italia? Reversus in urbem intra breve tempus, M.Aquilio C. Sempronio consulibus abhinc annos centum et sexaginta, post duos consulatus duosque triumphos et bis excisos terrores rei publicae mane in lectulo repertus est mortuus, ita ut quaedam elisarum faucium in cervice reperirentur notae. De tanti viri morte nulla habita est quaestio eiusque corpus velato capite elatum est, cuius opera super totum terrarum orbem Roma extulerat caput. Seu fatalem, ut plures, seu conflatam insidiis, ut aliqui prodidere memoriae, mortem obiit, vitam certe dignissimam egit, quae nullius ad id temporis praeterquam avit fulgore vinceretur. Decessit anno ferme sexto et quinquagesimo: de quo si quis ambiget, recurrat ad priorem consulatum eius, in quem creatus est anno octavo et tricesimo: ita dubitare desinet.
Nel frattempo, mentre queste cose si svolgono in Italia, Aristonico, il quale, morto il re Attalo, dal quale l’Asia era stata lasciata in eredità al popolo Romano, così come, più tardi, Nicomede lasciò la Bitinia, mentendo sulla sua discendenza da quel re, con le armi l’ aveva occupata e, vinto egli da M. Perpenna e condotto in trionfo, subì poi la pena di morte per mano di M. Aquilio, dato che, all’inizio della guerra, aveva fatto uccidere Crasso Muciano , uno dei più esperti uomini di legge, mentre usciva dalla provincia. Ma P. Scipione Emiliano, quello che aveva distrutto Cartagine, dopo tanti rovesci erano stati subiti per la guerra di Numanzia, fu creato console per la seconda volta e inviato in Spagna, sicché della virtù e della fortuna esperita in Africa dette prova anche in Spagna e, un un anno e tre mesi, da che era arrivato là, circondata Numanzia con le macchine ed espugnatala, la rase al suolo. Non ve n’è uno solo, in quella famiglia, prima di lui, che gloriò il proprio nome a perpetua memoria con una più splendida distruzione di città: dato che,rase al suolo Cartagine e Numanzia, ci liberò dal timore dell’una e dalle offese dell’altra. Costui, quando il tribuno Carbone lo interrogava su cosa pensasse dell’uccisione di Tiberio Gracco, rispose che se la sua intenzione era quella di dominare la res publica, era morto giustamente. Poi, un giorno che tutta l’assemblea lo fischiava, disse: “Io, che non mi sono spaventato alle urla di nemici in armi, come potrei ora essere sconvolto dal vostro grido, voi cha avete l’Italia per matrigna?”. Tornato in città in breve tempo, sotto il consolato di M. Aquilio e C. Sempronio, centosessanta anni fa, dopo due consolati e due trionfi e abbattuti due terrori della res publica, un giorno fu trovato morto nel suo letto, e sul suo collo furono trovati due segni di denti. Per la morte di un così grande uomo non si tenne nemmeno un processo, anzi il suo corpo fu condotto con la testa velata, proprio egli, per la cui opera Roma aveva potuto levare la testa su tutto il mondo delle terre emerse. Sia che morì di morte naturale, come molti pure dicono, sia di morte procurataglli da un attentato, come altri hanno tramandato, certo è che la vita che egli condusse fu la più degna, tanto che da nessun altra di nessun tempo potrebbe essere vinta. Morì, di sicuro, che aveva sessantacinque anni . Su questo, se pure qualcuno dubita, controlli il suo primo consolato, nel quale è stato creato, nell’anno 308 della res publica: non potrà più dubitare.