Cum bello acri et diutino Veientes, a Romanis intra moenia compulsi, capi non possent, ea mora non minus obsidentibus quam obsessis intolerabilis videbatur. Tum vero mirum prodigium factum est, quo di immortales iter ad victoriam ostendere visi sunt. Subito enim Albus lacus, neque caelestibus aucuts imbribus neque inundatione ullius amnis aditus, solitum stagni modum excessit. Cuis rei explorandae gratia Romanis visum est legatos ad Delphicum oraculum mittere, qui rettulerunt praecipi sortibus ut aquam eius lacus emissam per agros diffunderent: sic enim Veios venturos in potestatem populi Romani. At priusquam legati id renuntiarent, aruspex Veientium, a milite nostro raptus et in castra perlatus, eadem praedixerat. Ergo senatus, duplici praedictione monitus, eodem paene tempore et religioni paruit et hostium urbe potitus est.
Poichè i Veienti, costretti dai Romani all’interno delle loro mura, non potevano essere catturati pur con aspra e lunga guerra, quello stillicidio iniziò a sembrare insopportabile agli assediati non meno che agli assedianti. Ed ecco apparire uno straordinario prodigio, col quale sembrò che gli dèi immortali stessero mostrando il cammino verso la vittoria. D’un tratto infatti il lago Albano, senza essere ingrossato dalle piogge né accresciuto dalla piena di alcun fiume, oltrepassò il consueto livello delle acque. Per cercare di scoprire la causa di questo evento, i Romani pensarono bene di inviare ambasciatori a interrogare l’oracolo di Delfi; essi riferirono di aver avuto indicazione, dalle sorti, di far fuoriuscire l’acqua di quel lago e dispederla per i campi: giacché in questo modo Veio sarebbe caduta sotto il dominio del popolo romano. Addirittura, prima che gli ambasciatori riferissero l’oracolo, un indovino di Veio, che era stato rapito da un nostro soldato e trascinato nell’accampamento, aveva fatto la medesima predizione. Perciò il Senato, avvertito dalla duplice profezia, ascoltò il segno divino e quasi nello stesso istante riuscì ad impadronirsi della città nemica.