Ad Familiares, IX, 23

Heri veni in Cumanum, cras ad te fortasse. Sed ubi id certum sciam, tibi paulo ante dicam, etsi M. Ceparius, cum mihi in silva Gallinaria obviam venit, dixit te in lecto esse atque ex pedibus laborare. Scilicet doleo, sed tamen constitui ad te venire, ut et viderem te et viserem et cenarem etiam. Non enim puto te coquum etiam arthriticum habere. Expecta igitur hospitem minime edacem inimicumque cenis sumptuosis.

Ieri sono andato nella villa di Cuma, domani forse -verrò- da te. Ma non appena lo saprò per certo, te lo dirò per tempo, anche se Cepario, quando mi incontrò nella Pineta Gallinaria, disse che tu eri a letto e che soffrivi di un malanno ai piedi. Naturalmente mi dispiace, ma ho deciso di venire comunque da te sia per vederti sia per visitarti sia per cenare. Infatti non credo che tu abbia anche un cuoco artritico! Allora aspetta un ospite molto poco ingordo e contrario alle cene sontuose.

Metamorfosi, IV, 34-35

34 – Sed monitis caelestibus parendi necessitas misellam Psychen ad destinatam poenam efflagitabat. Perfectis igitur feralis thalami cum summo maerore sollemnibus toto prosequente populo vivum oducitur funus et lacrimosa Psyche comitatur non nuptias, sed exequias suas. Ac dum maesti parentes et tanto malo perciti nefarium facinus perficere cunctantur, ipsa illa filia talibus eos adhortatur vocibus: “Quid infelicem senectam fletu diutino cruciatis? Quid spiritum vestrum, qui magis meus est, crebris eiulatibus fatigatis? Quid lacrimis inefficacibus ora mihi veneranda foedatis? Quid laceratis in vestris oculis mea lumina? Quid canitiem scinditis? Quid pectora, quid ubera sancta tunditis? Haec erunt vobis egregiae formonsitatis meae praeclara praemia? Invidiae nefariae letali plaga percussi sero sentitis. Cum gentes et populi celebrarent nos divinis honoribus, cum novam me Venerem ore consono nuncuparent, tunc dolere, tunc flere, tunc me iam quasi peremptam lugere debuistis. Iam sentio, iam video solo me nomine Veneris perisse. Ducite me et cui sors addixit scopulo sistite. Festino felices istas nuptias obire, festino generosum illum maritum meum videre. Quid differo, quid detrecto venientem, qui totius orbis exitio natus est?”

35 – Sic profata virgo conticuit ingressuque iam valido pompae populi prosequentis sese miscuit. Itur ad constitutum scopulum montis ardui, cuius in summo cacumine statutam puellam cuncti deserunt, taedasque nuptiales, quibus praeluxerant, ibidem lacrimis suis extinctas relinquentes deiectis capitibus domuitionem parant. Et miseri quidem parentes eius tanta clade defessi, clausae domus abstrusi tenebris, perpetuae nocti sese dedidere. Psychen autem paventem ac trepidam et in ipso scopuli vertice deflentem mitis aura molliter spirantis Zephyri, vibratis hinc inde laciniis et reflato sinu sensim levatam suo tranquillo spiritu vehens paulatim per devexa rupis excelsae, vallis subditae florentis cespitis gremio leniter delapsam reclinat.

34 – Ma la necessità di ubbidire agli ordini del cielo premeva la misera Psiche a subire al più presto la pena destinata. Ultimate pertanto in mezzo a una gran tristezza le solenni cerimonie delle funebri nozze, si mette in moto, seguito da tutto il popolo, quel funerale d’una persona viva che accompagna Psiche piangente non alle nozze ma alle esequie. E mentre gli stessi genitori, colpiti da tanta sventura, esitano a mandare a effetto quest’azione incredibile, la loro stessa figlia li incoraggia con queste parole: “Perché affliggere con tante lagrime la vostra vecchiaia? Perché stancate il vostro cuore, che è anche mio, con tanti lamenti? Perché sfigurate con lagrime impotenti il vostro volto che è venerando? Perché macerate coi vostri occhi i miei occhi? Perché vi picchiate il petto, perché, madre, il seno che santamente mi nutrì? Ecco il premio che ve ne viene dalla mia famosa bellezza. Troppo tardi vi risentite del colpo fatale che vi ha dato l’ignobile invidia! Quando popolazioni e nazioni mi tributavano onori divini, quando a una voce tutti mi chiamavano una seconda Venere, allora bisognava dolersi, allora rammaricarsi, allora piangermi come morta. Ormai lo sento, lo vedo che la mia rovina è stata questo nome di Venere. Portatemi dunque sulla rupe che mi ha destinato la sorte e lasciatemi lì. Sono impaziente di celebrare queste felici nozze e di vedere questo mio nobile marito. Perché indugiare? Perché evitare l’incontro con colui che è nato perla dannazione del mondo intero?”.

35 – Cosi’ disse la vergine, poi tacque, e con passo sicuro si uni’ alla processione del popolo che le si mise dietro. Vanno alla rupe designata dell’alto monte, e sulla sommita’ abbandonano tutti la faniulla predestinata, e qui, lasciate, avendole spente con le lacrime, le tede nuziali con cui avevano accompagnata la fanciulla, si avviao a testa bassa verso casa. I miseri genitori di lei, schiacciati da tanta sciagura, insieme nelle tenebre della chiusa casa si votarono a perpetua notte. Ma Psiche, paurosa e tremante, mentre piange sulla cima della rupe, una mite aura di zefiro sente spirare molleente che le fa svolazzare le vesti, ne gonfia i lembi, poi la solleva insensibilmente e col suo placido soffio la porta via per il pendio dell’alta rupe, la fa scivolare dolcemente per posarla tra i cespugli fioriti d’una valle segreta.

Metamorfosi, IV, 32-33

32 – Interea Psyche cum sua sibi perspicua pulchritudine nullum decoris sui fructum percipit. Spectatur ab omnibus, laudatur ab omnibus, nec quisquam, non rex non regius nec de plebe saltem cupiens eius nuptiarum petitor aceedit. Mirantur quidem diuinam speciem, sed ut simulacrum fabre politum mirantur omnes. Olim duae maiores sorores, quarum temperatam formonsitatem nulli diffamarant populi, procis regibus desponsae iam beatas nuptias adeptae, sed Psyche uirgo uidua domi residens deflet desertam suam solitudinem aegra corporis animi saucia, et quamuis gentibus totis complacitam odit in se suam formonsitatem. Sic infortunatissimae filiae miserrimus pater suspectatis caelestibus odiis et irae superum metuens dei Milesii uetustissimum percontatur oraculum, et tanto numine precibus et uictimis ingratae uirgini petit nuptias et maritum. Sed Apollo, quanquam Graecus et Ionicus, propter Milesiae conditorem sic Latina sorte respondit:

33 – “Montis in excelsi scopulo, rex, siste puellam ornatam mundo funerei thalami. Nec speres generum mortali stirpe creatum, sed saeuum atque ferum uipereumque malum, quod pinnis uolitans super aethera cuneta fatigat flammaque et ferro singula debilitat, quod tremit ipse Iouis quo numina terrificantur, fluminaque horrescunt et Stygiae tenebrae”. Rex olim beatus affatu sanctae uaticinationis accepto pigens tristisque retro domum pergit suaeque coniugi praecepta sortis enodat infaustae. Maeretur, fletur, lamentatur diebus plusculis. Sed dirae sortis iam urget taeter effectus.

32 – Ma intanto Psiche, bellissima com’era, non ricavava alcun frutto dalla sua grazia. Tutti la ammiravano, la lodavano, e pure non un re, non un principe, nemmeno un plebeo veniva a chiederla in sposa. Restavano lì a contemplare quelle divine sembianze come si ammira una statua di suprema fattura. “Un giorno le due sorelle più grandi, la cui bellezza, modesta, era passata inosservata al gran pubblico, si fidanzarono con principi del sangue e celebrarono nozze felici mentre Psiche, rimasta vergine, sola nella vuota casa, piangeva il suo triste abbandono e sofferente e intristita finì per odiare la sua stessa bellezza che pure tutti ammiravano. E così l’infelice padre della sventurata fanciulla, temendo una maledizione celeste e la collera degli dei, interrogò l’antichissimo oracolo del dio Milesio e con preghiere e con vittime chiese a questa potente divinità per la vergine negletta nozze e marito. E Apollo, benché greco e ionico, per compiacere l’autore di questo romanzo, gli rispose in latino così:

33 – “Come a nozze di morte vesti la tua fanciulla ed esponila o re su un’alta cima brulla non aspettarti un genero da umana stirpe nato ma un feroce, terribile, malvagio drago alato che volando per l’aria ogni cosa funesta e col ferro e col fuoco ogni essere molesta. Giove stesso lo teme, treman gli dei di lui, orrore ne hanno i fiumi d’Averno e i regni bui”. Il re che un tempo era stato felice, sentito il sacro responso, fece ritorno a casa coll’animo colmo di tristezza e riferì alla moglie i comandi del funesto oracolo. Per più giorni non fecero che piangere, gemere, lamentarsi.

“Saggezza di Epaminonda”

Meneclides quidam, quod in re militari florere Epaminondam videbat, hortari solebat Thebanos, ut pacem bello anteponerent, ne illius imperatoris opera desideraretur. Hiuc ille:”Fallis verbo dixit cives tuos, quod hos a bello avocas: otii enim nomine servitutem concilias. Nam paritur pax bello. Itaque qui ea diutina volunt frui, bello exercitati esse debent. Quare si principes graeciae optatis esse, castris est vobis utendum, non palaestra”. Idem ille Meneclides, cum huic obiceret insolentiam, quod sibi videretur Agamemnonis belli gloriam consecutus esse, ille: “quod me Agamemnonem aemulari putas, falleris. Namque ille cum universa graecia vix decem annis unam cepit urbem, ego contra urbe nostra dieque uno totam graeciam, Lacedaemoniis fugatis, liberavi.

Un certo Meneclide, poichè vedeva Epaminonda distinguersi nell’arte militare, soleva esortare i Tebani ad anteporre la pace alla guerra affinché non fosse richiesta l’opera di quel comandante. Quello disse a questo: “Inganni i tuoi cittadini con le parole poichè li distogli dalla guerra: infatti tu favorisci la schiavitù in nome della pace. Infatti la pace è generata dalla guerra. E così coloro che vogliono godere di una pace duratura, devono essere esercitati nella guerra. Per cui se volete essere i capi della Grecia (avere la supremazia), dovete usare l’accampamento, non la palestra.” Poiché sempre lo stesso Meneclide insolentiva questo (Epaminonda), poichè credeva di aver uguagliato la gloria di Agamennone quello disse “Ti sbagli poichè pensi che io rivaleggi con Agamennone. Infatti quello con tutta la Grecia prese a stento una città in dieci anni, io invece, con la nostra città, liberai tutta la Grecia, in un solo giorno, dopo aver messo in fuga gli Spartani.

De Bello Gallico, I, 9

Relinquebatur una per Sequanos via, qua Sequanis invitis propter angustias ire non poterant. His cum sua sponte persuadere non possent, legatos ad Dumnorigem Haeduum mittunt, ut eo deprecatore a Sequanis impetrarent. Dumnorix gratia et largitione apud Sequanos plurimum poterat et Helvetiis erat amicus, quod ex ea civitate Orgetorigis filiam in matrimonium duxerat, et cupiditate regni adductus novis rebus studebat et quam plurimas civitates suo beneficio habere obstrictas volebat. Itaque rem suscipit et a Sequanis impetrat ut per fines suos Helvetios ire patiantur, obsidesque uti inter sese dent perficit: Sequani, ne itinere Helvetios prohibeant, Helvetii, ut sine maleficio et iniuria transeant.

Restava un’unica via, quella attraverso i Sequani, impercorribile però senza il loro consenso, tanto era angusta. Incapaci di trarli dalla propria parte da soli, mandano una delegazione a Dumnorige, l’eduo, perchè con la sua intercessione ottenga l’assenso dei Sequani. Dumnorige aveva una grande influenza su questi ultimi per il suo prestigio e le sue largizioni, oltre ad essere amico degli Elvezi per aver sposato una loro connazionale, figlia di Orgetorige; la brama di potere lo spingeva poi a cercare un rivolgimento e desiderava di aver legate a sè con favori il maggior numero possibile di nazioni. Perciò accetta l’incombenza e ottiene dai Sequani che lascino passare per il proprio territorio gli Elvezi; perfeziona anche uno scambio di ostaggi fra i due popoli, perchè i Sequani non ostacolino la marcia degli Elvezi, e gli Elvezi trascorrano senza recare danno e oltraggi.

De Bello Gallico, I, 8

Interea ea legione quam secum habebat militibusque, qui ex provincia convenerant, a lacu Lemanno, qui in flumen Rhodanum influit, ad montem Iuram, qui fines Sequanorum ab Helvetiis dividit, milia passuum XVIIII murum in altitudinem pedum sedecim fossamque perducit. Eo opere perfecto praesidia disponit, castella communit, quo facilius, si se invito transire conentur, prohibere possit. Ubi ea dies quam constituerat cum legatis venit et legati ad eum reverterunt, negat se more et exemplo populi Romani posse iter ulli per provinciam dare et, si vim facere conentur, prohibiturum ostendit. Helvetii ea spe deiecti navibus iunctis ratibusque compluribus factis, alii vadis Rhodani, qua minima altitudo fluminis erat, non numquam interdiu, saepius noctu si perrumpere possent conati, operis munitione et militum concursu et telis repulsi, hoc conatu destiterunt.

Intanto, impiegando la legione che aveva con sè e i soldati affluiti dalla provincia, conduce al lago Lemano, che ha uno sbocco sul fiume Rodano, fino al Giura, che divide il territorio dei Sequani e degli Elvezi, una massicciata alta sedici piedi e un fossato di diciannove miglia. Compiuta l’opera, dispone guarnigioni, allestisce fortini per poter opporsi più facilmente se tentavano di forzare il passaggio a suo dispetto. Al sopraggiungere del giorno fissato con gli ambasciatori e a loro ritorno li avverte che la consuetudine e il comportamento del popolo romano gli impedivano di concedere a chicchessia il transito per la provincia, e dichiara che se tentassero di forzarlo si sarebbe opposto. Gli Elvezi, caduta questa speranza, su barche legate assieme e su un buon numero di zattere da loro allestite, oppure guadando il Rodano nei punti meno profondi, talora di giorno, più spesso di notte, tentarono di aprirsi un varco, ma, respinti dalle fortificazioni e dai proiettili dei soldati prontamente accorsi, desistettero dal tentativo.

De Bello Gallico, I, 7

Caesari cum id nuntiatum esset, eos per provinciam nostram iter facere conari, maturat ab urbe proficisci et quam maximis potest itineribus in Galliam ulteriorem contendit et ad Genavam pervenit. Provinciae toti quam maximum potest militum numerum imperat (erat omnino in Gallia ulteriore legio una), pontem, qui erat ad Genavam, iubet rescindi. Ubi de eius adventu Helvetii certiores facti sunt, legatos ad eum mittunt nobilissimos civitatis, cuius legationis Nammeius et Verucloetius principem locum obtinebant, qui dicerent sibi esse in animo sine ullo maleficio iter per provinciam facere, propterea quod aliud iter haberent nullum: rogare ut eius voluntate id sibi facere liceat. Caesar, quod memoria tenebat L. Cassium consulem occisum exercitumque eius ab Helvetiis pulsum et sub iugum missum, concedendum non putabat; neque homines inimico animo, data facultate per provinciam itineris faciundi, temperaturos ab iniuria et maleficio existimabat. Tamen, ut spatium intercedere posset dum milites quos imperaverat convenirent, legatis respondit diem se ad deliberandum sumpturum: si quid vellent, ad Id. April. reverterentur.

Essendo stato annunciato questo a Cesare, cioè che gli Elvezi tentavano di passare per la nostra provincia, egli si affrettò a partire dalla città e si diresse verso la Gallia Ulteriore, a marce il più possibile forzate e giunse a Ginevra. Ordinò a tutte le province di fornire il numero più grande possibile di soldati – c’era solamente una legione in Gallia Ulteriore; ordinò di tagliare il ponte che era vicino a Ginevra. Quando gli Elvezi vennero informati del suo arrivo, inviarono presso di lui i legati più illustri della città, della cui ambasceria Nammeio e Veruclezio ottenevano il posto di capo, per dire che loro avevano intenzione di passare per la provincia senza alcun cattivo proposito, per il fatto che non avevano nessun’altra via. Lo pregavano di permettere loro di fare ciò con il suo assenso. Cesare, poiché ricordava che il console Lucio Cassio era stato ucciso, e il suo esercito era stato sconfitto dagli Elvezi e soggiogato, non ritenne di dover cedere; e pensava che, se si fosse concesso a uomini di animo ostile la facoltà di passare per la provincia, non si sarebbero astenuti dal recar danno e offesa. Tuttavia, per aspettare finché non arrivassero i soldati che aveva richiesto, rispose che avrebbe preso un giorno per decidere: se volessero una risposta, che tornassero il 13 aprile.

De Bello Gallico, I, 6

Erant omnino itinera duo, quibus itineribus domo exire possent: unum per Sequanos, angustum et difficile, inter montem Iuram et flumen Rhodanum, vix qua singuli carri ducerentur, mons autem altissimus impendebat, ut facile perpauci prohibere possent; alterum per provinciam nostram, multo facilius atque expeditius, propterea quod inter fines Helvetiorum et Allobrogum, qui nuper pacati erant, Rhodanus fluit isque non nullis locis vado transitur. Extremum oppidum Allobrogum est proximumque Helvetiorum finibus Genava. Ex eo oppido pons ad Helvetios pertinet. Allobrogibus sese vel persuasuros, quod nondum bono animo in populum Romanum viderentur, existimabant vel vi coacturos ut per suos fines eos ire paterentur. Omnibus rebus ad profectionem comparatis diem dicunt, qua die ad ripam Rhodani omnes conveniant. Is dies erat a. d. V. Kal. Apr. L. Pisone, A. Gabinio consulibus.

Solo due erano le strade che gli Elvezi potevano percorrere per uscire di patria: o attraverso i Sequani, strada angusta e difficile fra i monti del Giura e il fiume Rodano, dove i carri potevano a mala pena procedere in fila per uno, e dominata da cime altissime, cosicchè bastavano ben pochi uomini a impedire il passaggio; oppure attraverso la nostra provincia, assai più agevole e spiccia perchè fra il territorio degli Elvezi e degli Allobrogi, questi ultimi ridotti alla pace da poco, scorre il Rodano, guadabile in più punti. Ultima città degli Allobrogi, e vicinissima agli Elvezi, è Ginevra. Di lì un ponte raggiunge gli Elvezi, e questi ritenevano di poter convincere gli Allobrogi, poichè non sembravano ancora così inclini verso i Romani, o di poterli forzare a concedere loro il passaggio per il proprio territorio. Quando tutto è pronto per la partenza, fissano il giorno per l’adunata generale sulle sponde del Rodano. Era il 28 marzo del consolato di Lucio Pisone e Aulo Gabino.

De Bello Gallico, I, 5

Post eius mortem nihilo minus Helvetii id quod constituerant facere conantur, ut e finibus suis exeant. Ubi iam se ad eam rem paratos esse arbitrati sunt, oppida sua omnia, numero ad duodecim, vicos ad quadringentos, reliqua privata aedificia incendunt; frumentum omne, praeter quod secum portaturi erant, comburunt, ut domum reditionis spe sublata paratiores ad omnia pericula subeunda essent; trium mensum molita cibaria sibi quemque domo efferre iubent. Persuadent Rauracis et Tulingis et Latobrigis finitimis, uti eodem usi consilio oppidis suis vicisque exustis una cum iis proficiscantur, Boiosque, qui trans Rhenum incoluerant et in agrum Noricum transierant Noreiamque oppugnabant, receptos ad se socios sibi adsciscunt.

Dopo e nonostante la sua morte gli Elvezi persistono nella decisione di emigrare. Quando si ritengono pronti all’impresa, appiccano il fuoco a tutte le loro città, che erano una dozzina, ai villaggi, una quarantina, e ai casolari isolati; ardono tutto il grano che non avrebbero portato con sè, perchè senza più il miraggio di tornare in patria fossero meglio disposti ad affrontare qualsiasi pericolo, e ordinano che ciascuno porti via da casa per sè farina sufficiente a tre mesi. Convincono i loro confinanti Rauraci, Tulingi e Latobrigi a prendere la medesima decisione e a partire con loro dopo aver bruciato città e villaggi; anche i Boi, passati dai propri insediamenti oltre Reno al territorio del Norico e intenti a espugnare Noreia, vengon associati all’impresa.

De Bello Gallico, I, 4

Ea res est Helvetiis per indicium enuntiata. Moribus suis Orgetoricem ex vinculis causam dicere coegerunt; damnatum poenam sequi oportebat, ut igni cremaretur. Die constituta causae dictionis Orgetorix ad iudicium omnem suam familiam, ad hominum milia decem, undique coegit, et omnes clientes obaeratosque suos, quorum magnum numerum habebat, eodem conduxit; per eos ne causam diceret se eripuit. Cum civitas ob eam rem incitata armis ius suum exequi conaretur multitudinemque hominum ex agris magistratus cogerent, Orgetorix mortuus est; neque abest suspicio, ut Helvetii arbitrantur, quin ipse sibi mortem consciverit.

La trama viene svelata agli Elvezi da una delazione. Secondo la loro usanza, Orgetorige fu costretto a difendersi in catene; in caso di condanna lo apettava per punizione il rogo. Nel giorno fissato per il dibattimento Orgetorige fece affluire sul posto tutta la sua servitù – circa diecimila uomini – e tutti i suoi dipendenti e debitori, un bel numero di persone; col loro appoggio si sottrasse alla necessità di difendersi. Mentre la gente, irritata, cercava d’imporre il proprio diritto con le armi e i magistrati andavano radunando uomini dalla campagna, Orgrtorige morì; e c’è il spspetto , secondo gli Elvezi, che si sia suicidato.

De Bello Gallico, I, 3

His rebus adducti et auctoritate Orgetorigis permoti constituerunt ea quae ad proficiscendum pertinerent comparare, iumentorum et carrorum quam maximum numerum coemere, sementes quam maximas facere, ut in itinere copia frumenti suppeteret, cum proximis civitatibus pacem et amicitiam confirmare. Ad eas res conficiendas biennium sibi satis esse duxerunt; in tertium annum profectionem lege confirmant. Ad eas res conficiendas Orgetorix deligitur. Is sibi legationem ad civitates suscipit. In eo itinere persuadet Castico, Catamantaloedis filio, Sequano, cuius pater regnum in Sequanis multos annos obtinuerat et a senatu populi Romani amicus appellatus erat, ut regnum in civitate sua occuparet, quod pater ante habuerit; itemque Dumnorigi Haeduo, fratri Diviciaci, qui eo tempore principatum in civitate obtinebat ac maxime plebi acceptus erat, ut idem conaretur persuadet eique filiam suam in matrimonium dat. Perfacile factu esse illis probat conata perficere, propterea quod ipse suae civitatis imperium obtenturus esset: non esse dubium quin totius Galliae plurimum Helvetii possent; se suis copiis suoque exercitu illis regna conciliaturum confirmat. Hac oratione adducti inter se fidem et ius iurandum dant et regno occupato per tres potentissimos ac firmissimos populos totius Galliae sese potiri posse sperant.

Spinti da questi motivi e scossi dall’autorità di Orgertorige, stabilirono di predisporre l’occorrente alla partenza, adunare il maggior numero di bestie da soma e di carriaggi che si potesse acquistare, eseguire il massimo delle semine per non mancare di grano durante il viaggio, stabilire una pace amichevole con le nazioni limitrofe. Per compiere questi preparativi giudicarono sufficiente un bienno, e al terzo anno fissano la legge per la partenza. A realizzarli viene scelto Orgetorige. Questi nel corso delle ambascerie che compì presso varie nazioni convince Castico figlio di Catamantalede – un Sequano il cui padre aveva dominato per molti anni sul suo popolo ed era stato proclamato dal Senato amico del popolo romano – a prendere il potere fra i suoi connazionali come suo padre prima di lui; altrettanto fa con l’eduo Dumnorige, fratello di Diviciaco allora principe della sua nazione, e molto popolare, inducendolo a compiere un tentativo analogo e concedergli in moglie la propria figlia. Dimostra a entrambi l’estrema facilità dell’impresa, poichè anch’egli avrebbe ottenuto il dominio della propria nazione: ed essendo fuor di dubbio che gli Elvezi fossero il popolo più potente di tutta la Gallia, garantisce che con le sue risorse e il suo esercito egli avrebbe procurato loro il trono. Questo discorso li induce a giurare lealtà reciproca, e confidano che una volta raggiunto il potere, con quei tre popoli così forti e saldi potranno divenire padroni della Gallia intera.

De Bello Gallico, I, 2

Apud Helvetios longe nobilissimus fuit et ditissimus Orgetorix. Is M. Messala, [et P.] M. Pisone consulibus regni cupiditate inductus coniurationem nobilitatis fecit et civitati persuasit ut de finibus suis cum omnibus copiis exirent: perfacile esse, cum virtute omnibus praestarent, totius Galliae imperio potiri. Id hoc facilius iis persuasit, quod undique loci natura Helvetii continentur: una ex parte flumine Rheno latissimo atque altissimo, qui agrum Helvetium a Germanis dividit; altera ex parte monte Iura altissimo, qui est inter Sequanos et Helvetios; tertia lacu Lemanno et flumine Rhodano, qui provinciam nostram ab Helvetiis dividit. His rebus fiebat ut et minus late vagarentur et minus facile finitimis bellum inferre possent; qua ex parte homines bellandi cupidi magno dolore adficiebantur. Pro multitudine autem hominum et pro gloria belli atque fortitudinis angustos se fines habere arbitrabantur, qui in longitudinem milia passuum CCXL, in latitudinem CLXXX patebant.

Tra gli Elvezi primeggiò, e di molto, per nobiltà e ricchezze Orgetorige. Nell’anno del consolato di Marco Messala e Marco Pisone egli fu spinto dalla brama di potere a ordire una congiura di nobili e persuase i suoi compratrioti a uscire dal proprio territorio con tutti gli averi: per loro, primi fra tutti in valore, impadronirsi dell’intera Gallia e dominarla sarebbe stato facilissimo. Gli riuscì tanto più facilmente convincerli perchè gli Elvezi sono premuti da ogni parte dalla natura. Da un lato il fiume Reno divide col suo corso molto ampio e profondo il loro paese dai Germani, da un altro le altissime cime del Giura si frappongono tra Sequani ed Elvezi, da un terzo il lago Lemano e il fiume Rodano delimitano dalla loro parte la nostra provincia. Perciò riuscivano solo a compiere brevi sconfinamenti ed era per loro difficile muovere una vera guerra ai vicini, con grave sofferenza di una stirpe avida di combattere. In rapporto poi al numero della popolazione e alle gloriose tradizioni militari ritenevano di avere confini troppo angusti: una superficie di duecentoquaranta miglia in lunghezza e centottanta in larghezza.

De Bello Gallico, I, 1

Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam incolunt Belgae, aliam Aquitani, tertiam qui ipsorum lingua Celtae, nostra Galli appellantur. Hi omnes lingua, institutis, legibus inter se differunt. Gallos ab Aquitanis Garumna flumen, a Belgis Matrona et Sequana dividit. Horum omnium fortissimi sunt Belgae, propterea quod a cultu atque humanitate provinciae longissime absunt, minimeque ad eos mercatores saepe commeant atque ea quae ad effeminandos animos pertinent important, proximique sunt Germanis, qui trans Rhenum incolunt, quibuscum continenter bellum gerunt. Qua de causa Helvetii quoque reliquos Gallos virtute praecedunt, quod fere cotidianis proeliis cum Germanis contendunt, cum aut suis finibus eos prohibent aut ipsi in eorum finibus bellum gerunt. Eorum una, pars, quam Gallos obtinere dictum est, initium capit a flumine Rhodano, continetur Garumna flumine, Oceano, finibus Belgarum, attingit etiam ab Sequanis et Helvetiis flumen Rhenum, vergit ad septentriones. Belgae ab extremis Galliae finibus oriuntur, pertinent ad inferiorem partem fluminis Rheni, spectant in septentrionem et orientem solem. Aquitania a Garumna flumine ad Pyrenaeos montes et eam partem Oceani quae est ad Hispaniam pertinet; spectat inter occasum solis et septentriones.

La Gallia nel suo complesso è divisa in tre parti: una è abitata dai Belgi, una dagli Aquitani, la terza da quelli che nella loro lingua si chiamano Celti, nella nostra Galli. Tutte queste popolazioni differiscono tra loro nella lingua, nelle istituzioni e nelle leggi. Divide i Galli dagli Aquitani il fiume Garonnna, dai Belgi la Marna e la Senna. Di tutti questi i più valorosi sono i Belgi, perché sono i più lontani dalla raffinatezza e dalla civiltà della provincia, e molto raramente i mercanti si recano da loro a portarvi quei prodotti che servono ad effeminari gli animi, e sono i più vicini ai Germani che abitano oltre Reno, con i quali sono ininterrottamente in guerra. Questa è la ragione per cui anche gli Elvezi superano nel valore gli altri Galli, perché quasi ogni giorno combattono contro i Germani, o tenendoli fuori dal proprio paese o portando essi la guerra nel loro paese. Quella parte che, come ho detto, è abitata dai Galli, inizia dal fiume Rodano; è delimitata dal fiume Garonna, dall’Oceano, dal paese dei Belgi; dalla parte dei Sequani e degli Elvezi tocca anche il fiume Reno; si stende verso settentrione. Il paese dei Belgi comincia dalla parte estrema della Gallia; tocca il corso inferiore del fiume Reno, si stende verso settentrione e oriente. L’Aquitania dal fiume Garonna si stende fino a toccare i monti Pirenei e quella parte dell’Oceano che volge verso la Spagna; si stende tra occidente e settentrione.