Ingenti poenorum classe circa Siciliam devicta, duces eius, fractis animis, consilia petendae pacis agitabant. Quorum Hamilcar ire se ad consules negabat audere, ne eodem modo catenae sibi inicerentur, quo ab ipsis Cornelio Asinae consuli fuerant iniectae. Hanno autem, certior Romani animi aestimator, nihil tale timendum ratus, maxima cum fiducia ad colloquium eorum tetendit. Apud quos cum de fine belli ageret, et tribunus militum ei dixisset posse illi merito evenire quod Cornelio accidisset, uterque consul, tribuno iacere iusso, “Isto te” inquit “metu, Hanno, fides civitatis nostrae liberat”. Claros illos facerat tantum hostium ducem vincire potuisse, sed multo clariores fecit noluisse.
Dopo che l’ingente flotta dei Cartaginesi fu sconfitta davanti alla costa della Sicilia, i comandanti Cartaginesi pensarono alla pace. Amilcare, scelto per discutere con i Romani delle condizioni di pace, disse di non voler recarsi dai consoli temendo di essere gettato in catene allo stesso modo in cui era stato gettato dai Cartaginesi il console Cornelio. Invece Annone, più consapevole estimatore dell’animo romano credendo che non si dovesse temere nulla di simile, si diresse con la massima fiducia al colloquio. Presso i Romani mentre discuteva della fine della guerra, un tribuno gli disse che poteva accadergli giustamente ciò che era accuduto a Cornelio; entrambi i consoli fatto silenzio e mandato il via il tribuno dissero: “Annone il patto della nostra città ti libera da questa paura”. Tanto li avrebbe fatti famosi, il gettare in catene il comandante dei nemici, ma di gran lunga li rese più celebri non averlo voluto.