Rex Lycomedes, Thetidis Nereidos rogatu, Achillem adulescentem in regia domo inter filias habitu femineo habuit, ne ad bellum cum Graeciae principibus discederet, Achivi autem postquam Achillis deversorium cognoverunt, ad regem oratores miserunt, ut adulescentem omnium maxime strenuum ad bellum contra Troianos mitteret. Graecorum postulata cum audivisset, ita rex respondit: “Achilles domi meae non est nec umquam fuit; nisi meis verbis fidem tribuitis, perlustrate, quaeso, meam domum”. Tum vero Ulixes, vir omnium callidissimus, dolum adhibuit: nam in vestibulo munera feminea posuit una cum clipeo et hasta.
Il re Licomede, su richiesta di Teti, figlia di Nereo, tenne il giovane Achille, in abito femminile, nella casa reale tra le (proprie) figlie, perché non partisse in guerra assieme ai principi della Grecia. Gli Achei, in seguito, dopo che ebbero conosciuto il rifugio di Achille, mandarono ambasciatori al re, perché mandasse l’adolescente più forte di tutti alla guerra contro i Troiani. Udite le richieste dei Greci, il re così rispose: “Achille non è nella mia casa né ci fu mai; se non vi fidate delle mie parole, perlustrate, di grazia, la mia abitazione. Allora, in verità Ulisse, il più avveduto di tutti, usò un inganno: infatti pose nel vestibolo regali femminili assieme ad uno scudo e ad una lancia.