Extincto in ipso aetatis ac victoriarum flore Alexandro Magno, triste apud amnes tota Babylonia silentium fuit. Sed nec devictae gentes fidem nuntio habuerunt, quod ut invictum regem ita immortalem esse crediderant, recordantes quotiens presenti morte ereptus esset, quam seape pro amisso repente se non sospitem tantum suis, verum etiam victorem obtulisset. Ut vero mortis eius fides adfuit, omnes barbarae gentes paulo ante a beo divictae non ut hostem eum, sed ut parentem luxerunt. Mater quoque Darei regis, quam, amisso filio, a fastigio tantae maiestatis in captivitatem redactam indulgentia victoris in eam diem vitae non paenituerant, aidita morte Alexandri mortem sibi ipsa conscivit, non quod hostem filio praeferret, sed quod pietatem filii in eo, quem ut hostem timuerat, experta esset. Contra Macedones versa vice non ut civem ac tantae maiestatis regem, verum ut hostem amissum gaudebant, et severitatem nimiam et adsidula belli pericula execrantes.
Morto che fu Alessandro Magno proprio nel fiore degli anni e all’apice della vittoria, vi fu un triste silenzio presso ognuno in tutta Babilonia. Ma neppure le popolazioni battute diedero credito alla notizia, poiché essi avevano pensato che come il re era invincibile così fosse immortale, ricordando quante volte fosse stato strappato alla morte imminente, quanto spesso, anziché morto, non solo si fosse mostrato ai suoi improvvisamente sano e salvo, ma anche vincitore. Quando però la notizia della sua morte prese piede, tutte le genti barbare poco prima sconfitte da lui non lo piansero come un nemico, ma come un genitore. Pure la madre del re Dario, che, perso il figlio, dalla grandezza di tanta maestà ridotta in prigionia, fino a quel giorno non aveva avuto motivo di lamentarsi della vita per la generosità del vincitore, saputo della morte di Alessandro lei stessa si diede la morte, non per il fatto che preferisse il nemico al figlio, ma per il fatto che aveva sperimentato la devozione di un figlio in quell’uomo, che aveva temuto in quanto nemico. Al contrario i Macedoni, con atteggiamento opposto, non come concittadino e re di cotanta grandezza, ma in verità si rallegravano come se avessero perso un nemico, maledicendo sia l’eccessiva severità sia i continui pericoli della guerra.