Darius iam moriturus erat. Tum vero satellites eius, qui regis salutem etiam periculis vitae tueri debebant, dilapsi sunt, rati se impetum tot hostium castra adorientium sustinere non posse; hostes enim iam adventare arbitrabantur. Ingens ergo in tabernaculo solitudo erat, cicumstantibus regem paucis spadonibus quia quo discederent non habebant. At ille, remotis arbitris, diu aliud atque aliud consilium animo volutabat. Iamque solitudinem, quam paulo ante pro solacio petiverat, perosus, Bubacen spadonem vocari iussit. Quem intuens, dixit: “Ite, consulite vobis, fide regi vestro, ut oportebat, exhibita. Ego hic legem fati mei expecto”. Post hanc vocem spado, miratus quid rex dixisset, primo moratus est; deinde gemitu non solum tabernaculum sed etiam castra complevit. Irrumpunt deinde alii laceratisque vestibus, lugubri et barbaro ululatu regem deplorare incipiunt.
Dario stava ormai per morire allora le sue guardie del corpo che dovevano in verità ancora vigilare sulla salvezza del re anche a rischio della vita si dileguarono, credendo di non poter sostenere l’impeto di tanti nemici che assalivano l’accampamento, i nemici infatti già cominciavano ad avvicinarsi. Quindi nella tenda vi era una grande desolazione, con pochi eunuchi che stavano intorno al re, poichè non avevano dove fuggire. Ma questi, allontanati i presenti, meditava a lungo nel suo animo ora l’una ora l’altra decisione. Quindi avendo in odio la solitudine che poco prima aveva invocato come sollievo, ordinò che fosse chiamato l’eunuco Bubace. Fissandolo disse: “Andate (e) pensate a voi stessi, dopo aver dimostrato fino all’ultimo la fedeltà al vostro re”. Io attendo qui la legge del mio destino”. Dopo queste parole, meravigliato di che cosa il re aveva detto, prima si trattenne, poi (l’eunuco) fece risuonare il suo lamento non solo attraverso la tenda ma per tutto il campo. Accorsero poi gli altri che strappatisi gli abiti iniziarono a piangere il re con un lamento lugubre e barbarico.