Graeci urbem diripuerant et omnes virgines secum abduxerant; in his Chryseidem, filiam Chrisae, Apollinis sacerdotis. Maestrus igitur pater puellae in castra Graecorum venit, ut filiam redimeret, sed frustra oravit ducem Agamemnonem, qui non solum captivam servavit, sed gravibus minis sacerdotem terruit. Chryses igitur celeriter e castris discessit, sed cum procul fuic sit Apollinem oravit: “Deus, qui geris arcum argenteum et Tenedi incolis imperas, si semper tuum sacellum coronis ornavi et pingues haedos tibi immolavi, Graeci tuis sagittis poenas suis sceleris persolvant”. Statim Apollo preces auduvut sacerdotis, ex Olympo descendit. Sed cum Agamemnom causam irae Apollinis cognovit filiam patri reddidit et etiam hecatombe Apollinis iram placavit. Tum Apollo pestilentiam sedavit et aegros omnes sanavit viros.
I Greci avevano distrutto la città ed avevano portato con loro tutte le fanciulle; tra esse Criseide, figlia di Crise, sacerdote di Apollo. Pertanto, triste, il padre della fanciulla si recò nell’accampamento dei Greci, per riscattare la figlia, ma invano pregò il comandante Agamennone, il quale, non soltanto, custodì la prigioniera, ma spaventò il sacerdote con gravi minacce. Crise, dunque, si allontanò rapidamente dall’accampamento, ma non appena fu un po’ lontano così pregò Apollo: “Dio, che porti l’arco d’argento e domini sugli abitanti di Tenedo, se ho ornato sempre il tuo tempietto e ti ho immolato grasse vittime, i Greci paghino le pene per le loro scelleratezze con le tue frecce!”. Subito Apollo ascoltò le preghiere del sacerdote, scese dall’Olimpo. Ma quando Agamennone conobbe la causa dell’ira di Apollo, restituì la figlia al padre e placò l’ira di Apollo persino con un’ecatombe. Allora Apollo arrestò la pestilenza e risanò tutti gli uomini malati.