Per idem tempus Vticae forte C. Mario per hostias dis supplicanti magna atque mirabilia portendi haruspex dixerat: proinde quae animo agitabat, fretus dis ageret, fortunam quam saepissime experiretur; concta prospere eventura. At illum iam antea consulatus ingens cupido exagitabat, ad quem capiendum praeter uetustatem familiae alia omnia abunde erant: industria, probitas, militiae magna scientia, animus belli ingens domi modicus, libidinis et divitiarum victor, tantummodo gloriae auidus. Sed is natus et omnem pueritiam Arpini altus, ubi primum aetas militiae patiens fuit, stipendiis faciendis, non Graeca facundia neque urbanis munditiis sese exercuit: ita inter artis bonas integrum ingenium brevi adoleuit. Ergo, ubi primum tribunatum militarem a populo petit, plerisque faciem eius ignorantibus facile factis notus per omnis tribus declaratur. Deinde ab eo magistratu alium, post alium sibi peperit, semperque in potestatibus eo modo agitabat, ut ampliore quam gerebat dignus haberetur. Tamen is ad id locorum talis vir–nam postea ambitione praeceps datus est–consulatum appetere non audebat. Etiam tum alios magistratus plebs, consulatum nobilitas inter se per manus tradebat. Nouos nemo tam clarus neque tam egregiis factis erat, quin indignus illo honore et is quasi pollutus haberetur.
In quello stesso periodo, il caso volle che Gaio Mario, trovandosi a Utica, offrisse un sacrificio agli dèi; l’aruspice gli comunicò che si annunziava per lui un grande e meraviglioso destino: confidasse dunque nell’aiuto degli dèi per tutte le imprese che aveva in animo e tentasse la fortuna molte volte; tutto gli sarebbe riuscito nel migliore dei modi. Veramente già da tempo Mario era divorato dall’ambizione di diventare console e, tranne la nobiltà della stirpe, possedeva tutte le doti necessarie a ricoprire tale carica: energia, rettitudine, grande esperienza militare e un animo indomito in guerra, equilibrato in pace, capace di dominare le tentazioni dei sensi e della ricchezza, avido soltanto di gloria. Nato ad Arpino, dove aveva trascorso tutta la sua fanciullezza, appena fu in età di portare le armi, intraprese la carriera militare, noncurante di eloquenza greca e di raffinatezze cittadine: così, fra quelle sane occupazioni il suo carattere integro maturò precocemente. Perciò quando presentò al popolo la propria candidatura al tribunato militare, benché ai più fosse ignoto il suo aspetto, la sua sola reputazione fu sufficiente a procurargli il voto di tutte le tribù. Dopo quella egli ottenne una carica dietro l’altra e ogni volta esercitò la magistratura in modo tale, da essere considerato meritevole di rivestirne un’altra più importante. Eppure un uomo così eccezionale fino a quel momento – più tardi fu rovinato dall’ambizione – non osava aspirare al consolato: era ancora il tempo in cui la plebe poteva ottenere le altre cariche, ma il consolato passava dalla mano di un nobile a quella di un altro. Non c’era “uomo nuovo”, per quanto illustre e di alti meriti, che non venisse considerato indegno di quell’onore e quasi contaminato da qualche infamia.
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Versione sballata e con verbi inventati