Fecerunt itaque ciuitates duas amores duo, terrenam scilicet amor sui usque ad contemptum Dei, caelestem uero amor Dei usque ad contemptum sui. Denique illa in se ipsa, haec in Domino gloriatur. Illa enim quaerit ab hominibus gloriam; huic autem Deus conscientiae testis maxima est gloria. Illa in gloria sua exaltat caput suum; haec dicit Deo suo: “Gloria mea et exaltans caput meum”. Illi in principibus eius uel in eis quas subiugat nationibus dominandi libido dominatur; in hac seruiunt inuicem in caritate et praepositi consulendo et subditi obtemperando. Illa in suis potentibug diligit uirtutem suam; haec dicit Deo suo: “Diligam te, Domine, uirtus mea”. Ideoque in illa sapientes eius secundum hominem uiuentes aut corporis aut animi sui bona aut utriusque sectati sunt, aut qui potuerunt cognoscere Deum, “non ut Deum honorauerunt aut gratias egerunt, sed euanuerunt in cogilationibus suis, et obscuratum est insipiens cor eorum; dicentes se esse sapientes”, id est dominante sibi.superbia in sua sapientia sese extollentes, “stulti facti sunt et inmutauerunt gloriam incorruptibilis Dei in similitudinem imaginis corruptibilis hominis et uolucrum et quadrupedum et serpentium”, ad huiusce modi enim simulacra adoranda uel duces populorum uel sectatores fuerunt, “et coluerunt atque seruierunt creaturae potius quam Creatori, qui est benedictovs in saecula”; in hac autem nulla est hominis sapientia nisi pietas, qua recte colitur uerus Deus, id expectans praemium in societate sanctorum non solum hominum, uerum etiam angelorum, “ut sit Deus omnia in omnibus”.
Pertanto due diversi amori hanno fatto due città, e cioè l’amor proprio fino al disprezzo di Dio quella terrena, mentre l’amore di Dio fino al proprio disprezzo quella celeste. Perciò la prima si gloria in se stessa, la seconda nel Signore. La prima infatti chiede la gloria agli uomini; al contrario per la seconda Dio è la massima gloria. La prima esalta nella sua gloria la sua testa; la seconda dice al suo Dio: “Tu sei la mia gloria anche perché levi in alto la mia testa”. Sulla prima domina la brama di dominio, nei suoi capi o in quei popoli che sottomette; nella seconda al contrario servono nella carità sia i capi consigliando che i sudditi obbedendo. La prima predilige la sua forza nei suoi potenti; la seconda dice al suo Dio: “Ti amerò, Dio, mia forza”. E pertanto in quella i suoi sapienti che vivono secondo l’uomo perseguirono o i beni del corpo o dell’anima o di entrambi, o coloro che poterono conoscere Dio, “non lo onorarono o gli resero grazie come Dio; ma si persero nei loro pensieri; e il loro sciocco cuore fu oscurato; coloro che dicevano di essere sapienti”, cioè che si esaltavano nella loro saggezza poiché dominava su di loro la superbia, “divennero stolti e mutarono la gloria del Dio incorruttibile nella somiglianza di un’immagine corruttibile dell’uomo e degli uccelli e dei quadrupedi e dei serpenti”: infatti in tali forme di simulacri da adorare, furono capi di masse o loro partigiani: “e venerarono e servirono le creature piuttosto che il Creatore, che è benedetto nei secoli “. Ma nella seconda la sapienza dell’uomo non è nulla se non religione, con la quale giustamente si venera il vero Dio, aspettando questo premio nella società non solo degli uomini santi, ma anche degli angeli, “affinché Dio sia tutto in tutti “.
2 thoughts on “De Civitate Dei, XIV, 28”
Comments are closed.