Inter hos ego inbecilla tunc aetate discebam libros eloquentiae, in qua eminere cupiebam, fine damnabili et ventoso per gaudia vanitatis humanae; et usitato iam discendi ordine perveneram in librum cuiusdam Ciceronis, cuius linguam fere omnes mirantur, pectus non ita. sed liber ille ipsius exhortationem continet ad philosophiam et vocatur Hortensius. ille vero liber mutavit affectum meum, et ad te ipsum, domine, mutavit preces meas, et vota ac desideria mea fecit alia. viluit mihi repente omnis vana spes, et inmortalitatem sapientiae concupiscebam aestu cordis incredibili, et surgere coeperam, ut ad te redirem. non enim ad acuendam linguam, quod videbar emere maternis mercedibus, cum agerem annum aetatis undevicensimum, iam defuncto patre ante biennium; non ergo ad acuendam linguam referebam illum librum, neque mihi locutionem, sed quod loquebatur persuaserat.
Tra questi (oratori) io, in età all’epoca ancora immatura, studiavo i libri di eloquenza, nella quale desideravo distinguermi con un fine biasimevole e vano, attraverso le gioie della vanità umana, e secondo l’usuale programma di studi, ero già arrivato al libro di un certo Cicerone, la cui lingua quasi tutti ammiravano, non altrettanto il pensiero. Ma quel libro contiene un’esortazione di questo alla filosofia, ed è intitolato “Ortensio”. Ma quel libro mutò la mia mentalità e cambiò le mie preghiere (rivolte) a te, Signore, e rese diverse le mie aspettative e i miei desideri. Di colpo mi si rinvilì ogni vana speranza e desideravo con ardore di cuore incredibile l’immortalità della sapienza e avevo cominciato a rialzarmi per ritornare a te. Ma non per affinare la mia lingua, cosa che sembrava che pagassi con il mensile materno – poiché avevo diciotto anni e (mio) padre era morto già da due – perciò non rivolgevo (la lettura di) quel libro per affinare la lingua, né mi aveva persuaso del suo stile ma di ciò di cui parlava.