Spectaculorum et assiduitate et varietate et magnificentia omnes antecessit. Fecisse se ludos ait suo nomine quater, pro aliis magistratibus, qui aut abessent aut non sufficerent, ter et vicies. Fecitque nonnumquam etiam vicatim ac pluribus scaenis per omnium linguarum histriones, munera non in Foro modo, nec in amphitheatro, sed et in Circo et in Saeptis, et aliquando nihil praeter venationem edidit; athletas quoque exstructis in campo Martio sedilibus ligneis; item navale proelium circa Tiberim cavato solo, in quo nunc Caesarum nemus est. Quibus diebus custodes in urbe disposuit, ne raritate remanentium grassatoribus obnoxia esset. In Circo aurigas cursoresque et confectores ferarum, et nonnumquam ex nobilissima iuventute, produxit. Sed et Troiae lusum edidit frequentissime maiorum minorumque puerorum, prisci decorique moris existimans clarae stirpis indolem sic notescere. In hoc ludicro Nonium Asprenatem lapsu debilitatum aureo torque donavit passusque est ipsum posterosque Torquati ferre cognomen. Mox finem fecit talia edendi Asinio Pollione oratore graviter invidioseque in curia questo Aesernini nepotis sui casum, qui et ipse crus fregerat. Ad scaenicas quoque et gladiatorias operas et equitibus Romanis aliquando usus est, verum prius quam senatus consulto interdiceretur. Postea nihil sane praeterquam adulescentulum Lycium honeste natum exhibuit, tantum ut ostenderet, quod erat bipedali minor, librarum septemdecim ac vocis immensae. Quodam autem muneris die Parthorum obsides tunc primum missos per mediam harenam ad spectaculum induxit superque se subsellio secundo collocavit. Solebat etiam citra spectaculorum dies, si quando quid invisitatum dignumque cognitu advectum esset, id extra ordinem quolibet loco publicare, ut rhinocerotem apud Saepta, tigrim in scaena, anguem quin quaginta cubitorum pro Comitio. Accidit votivis circensibus, ut correptus valitudine lectica cubans tensas deduceret; rursus commissione ludorum, quibus theatrum Marcelli dedicabat, evenit ut laxatis sellae curulis compagibus caderet supinus. Nepotum quoque suorum munere cum consternatum ruinae metu populum retinere et confirmare nullo modo posset, transiit e loco suo atque in ea parte consedit, quae suspecta maxime erat.
Per numero, varietà e magnificenza di spettacoli superò tutti i suoi predecessori. Egli stesso dice che, a suo nome, celebrò giochi pubblici quattro volte e ventitré volte per altri magistrati che erano assenti o mancavano di mezzi. Qualche volta ne celebrò anche nei differenti quartieri, con numerose scene, servendosi di attori che parlavano tutte le lingue; diede spettacoli non solo nel foro e nell’anfiteatro, ma anche nel circo e nei recinti per le elezioni e talvolta si trattava soltanto di battute di caccia; organizzò anche incontri di lotta fra atleti nel Campo di Marte, dove furono disposte panche di legno, e una battaglia navale, per la quale fece scavare il terreno nei pressi del Tevere, dove ora si trova il bosco dei Cesari. Durante i giorni degli spettacoli istituì un servizio di guardia in città, perché non divenisse preda dei briganti dato l’esiguo numero di coloro che vi erano rimasti. Fece esibire nel circo aurighi, corridori e bestiari, reclutati tal volta tra i giovani della migliore nobiltà. Inoltre organizzò spesso i giochi troiani tra ragazzi di età differente, perché pensava che era una nobile usanza antica mettere così in luce il valore di una stirpe illustre. Poiché in queste gare Nonio Asprenate si era infortunato per una caduta durante la corsa, gli regalò una collana d’oro, autorizzandolo a portare, lui e i suoi discendenti, il nome di Torquato. Più tardi però pose fine a queste manifestazioni, perché l’oratore Asinio Pollione, con viva amarezza, si era lamentato davanti al Senato per il caso di suo nipote Esernino, che si era rotto le gambe. Qualche volta fece partecipare alle rappresentazioni teatrali e ai combattimenti gladiatorii anche i cavalieri romani, finché un decreto del Senato non lo vietò. In seguito non presentò più nessuno, ad eccezione di un ragazzo molto giovane, un certo Licio, di buona famiglia, e solo perché era alto meno di due piedi, pesava diciassette libbre e possedeva una voce formidabile. In un giorno di rappresentazione condusse allo spettacolo alcuni ostaggi parti, i primi che fossero inviati a Roma, li fece passare in mezzo all’arena, e li sistemò in seconda fila, sopra di sé. Aveva preso l’abitudine nei giorni che precedevano gli spettacoli, se per caso era stato portato a Roma qualche animale curioso che meritava di essere visto, di presentarlo al popolo a titolo straordinario, in un luogo qualsiasi: per esempio un rinoceronte presso i recinti delle elezioni, una tigre su una scena, un serpente di cinquanta cubiti davanti alla piazza dei comizi. Durante alcuni giochi votivi celebrati nel circo, una improvvisa indisposizione lo costrinse a restare sdraiato nella sua lettiga per aprire la sfilata dei carri sacri. Un’altra volta, all’inaugurazione dei giochi per la consacrazione del Teatro di Marcello le connessure della sua sedia curule si allentarono ed egli cadde supino. Inoltre, durante uno spettacolo organizzato dai suoi nipoti, quando si accorse che il popolo era spaventato dal timore di un crollo e non si poteva né trattenerlo né rassicurarlo, si alzò dal suo posto e andò a sedersi proprio in quella parte che più era esposta alla minaccia.